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Intervento di Alberto Tripi al Convegno inaugurale di SMAU 2006

Intervento di Alberto Tripi al Convegno inaugurale di SMAU 2006

04-10-2006

L'edizione di quest'anno dello SMAU cade in un momento particolare, che richiede riflessioni profonde sulla direzione verso la quale possono camminare le imprese e le politiche per l'innovazione.

04/10/2006

L'edizione di quest'anno dello SMAU cade in un momento particolare, che richiede riflessioni profonde sulla direzione verso la quale possono camminare le imprese e le politiche per l'innovazione.

Tutti concordano che l'autentico motore dello sviluppo economico è l'innovazione tecnologica che rappresenta l'unica forza propulsiva capace di incidere sull'evoluzione della società, sul ruolo delle imprese e sul volto della Pubblica Amministrazione.

L'innovazione non è un fattore "straordinario", ma "ordinario" perchè attraversa ormai in modo orizzontale tutti i settori e dal suo impiego intelligente può delinearsi quel modello di modernità che è l'obiettivo vero della crescita.

 

Parliamo spesso di convergenza delle tecnologie, ma io credo che si debba parlare di convergenza per la modernità e lo sviluppo, una convergenza che segna una nuova fase di maturità culturale e politica e crea quell'ambiente di cui parla spesso e con grande competenza l'amico Pistorio.
 

Le forze in campo per generare una nuova spinta tecnologica sono imponenti.

 
 

Il settore ICT occupa 674.000 addetti e vede impegnate 112.600 imprese. A questi numeri dobbiamo aggiungere quelli che riguardano l'universo dei servizi innovativi con 700.000 imprese e circa 1.850.000 addetti che contribuiscono complessivamente alla ricchezza del Paese con il 13,5% del Pil (una quota importante anche se ancora al di sotto della media europea che è dell'ordine del 20%).
 

Se mettiamo insieme queste risorse ci rendiamo conto di quale sia la forza d'urto che può guidare il Sistema-Italia verso una modernità capace di rendere "attraente" e competitivo il nostro Paese.

 
Tra pochi giorni Federcomin presenterà dati ancora più aggiornati sull'occupazione e le professioni nell'Ict. Nel Rapporto che presenteremo a Roma il 18 ottobre si stima che nel 2010 la richiesta di "skill innovativi" nel settore Ict sarà di circa 20.000 addetti con una crescita media annua del 3%.

 
La domanda che dobbiamo porci è molto semplice: è possibile con queste forze trasformare la geografia economica italiana e sfidare i mercati internazionali camminando con gambe robuste lungo la strada della modernità e dello sviluppo?

La mia risposta è positiva, perché lo sforzo delle imprese sia accompagnato da una politica che punti davvero verso il cambiamento.

 
 

Purtroppo, anche se l’obiettivo è chiaro e condiviso, non è altrettanto chiara ed effettiva l’intenzione di perseguirlo con azioni e misure adeguate.
Se è vero, infatti, che le imprese (soprattutto le PMI) devono scontare il retaggio di una cultura arcaica che non investe adeguatamente nell'innovazione e nelle tecnologie, è altrettanto vero che le scelte politiche sembrano ancora troppo riluttanti a considerare l'innovazione come motore della crescita.
 
Mi riferisco - è chiaro - alla Finanziaria, che al di là di ogni giudizio politico, non sembra sia riuscita a quadrare il cerchio tra la domanda di equità che sale dalle fasce sociali più deboli, e la domanda di modernità e sviluppo che attraversa tutte le categorie.
 
Sul capitolo della Finanziaria “Ricerca e Innovazione” il testo sembra coerente con molte delle proposte presentate da Confindustria, anche se non nella intensità auspicata, in quanto in certi casi si rischia di limitarne l’efficacia.
Conciliare equità e sviluppo è un esercizio tutt'altro che facile, e mi rendo conto che le spinte ispirate a una cultura politica riformista rischiano di dare - come ha detto il Presidente di Confindustria - "troppo spazio alla demagogia".
 
Sarebbe ingiusto dire peraltro che tutte le scelte della Finanziaria "guardano troppo al passato", ma mi chiedo, e chiedo agli illustri rappresentanti di Governo qui presenti: siete davvero convinti che questo importante atto del Governo sia nel segno degli anni 2000, cioè di quella modernità incalzante e impetuosa che attraversa altri paesi europei?
 
Alla vigilia dell'estate avevamo apprezzato i segni "virtuosi" del Dpef che lasciavano intravedere le premesse di una manovra capace di rilanciare gli investimenti e di dare fiducia alle imprese.
 
Allo stesso modo abbiamo apprezzato il contenuto del disegno di legge Bersani "Industria 2015" ritrovando nelle premesse e nell'articolato concetti a noi molto familiari. Mi riferisco in particolare alla volontà di svincolare l'industria dalle radici manifatturiere e di "estendere il concetto di industria alle nuove filiere produttive che integrano servizi avanzati, manifatture, nuove tecnologie".
 
Questo salto di qualità culturale e politica c'è parso (a noi che in Federcomin e Fita stiamo sostenendo da due anni la novità dell'Economia dei servizi innovativi) carico di significati decisivi e importanti. E sarebbe ingiusto non riconoscere che anche dentro la Finanziaria il "pacchetto Bersani" sulla nuova politica industriale per l'innovazione trova uno spazio adeguato.
 
Le misure per il Mezzogiorno (tra cui spiccano 1,3 miliardi per i crediti di imposta) e il Fondo per la competitività e lo sviluppo, rappresentano punti irrinunciabili che possono aiutare le imprese a muoversi e investire in aree tecnologiche strategiche.
 
Purtroppo accanto a queste scelte ve ne sono altre, come il trasferimento del Tfr, sulle quali il mondo delle imprese ha già espresso le più vive preoccupazioni.
 

Sono scelte che penalizzano duramente le aziende e sottraggono risorse importanti agli investimenti rendendo sempre più tormentato l'accesso al credito che molte banche considerano ancora un privilegio.

Eccoci allora alle prese con scelte politiche che sono dettate da ragioni di cassa, estranee all'equazione equità-sviluppo, e inevitabilmente destinate a rendere più difficile l'attività imprenditoriale.
 
A questa difficoltà potremmo aggiungere quella di un mercato del lavoro che dovrebbe diventare, con le necessarie tutele, sempre più flessibile e moderno, mentre con un salto anacronistico all'indietro qualche soggetto politico e sindacale lo vorrebbe ingessato e trattato in un'ottica prevalentemente demagogica.
 

L'innovazione è sinonimo di modernità, creatività, flessibilità, eccellenza.

Tutti questi fattori devono potersi coniugare in una sintesi che riesce ad intaccare anche i muri della Pubblica Amministrazione dove prevale l'ideologia della sopravvivenza e dove la burocrazia si autotutela.
Non può esserci competitività del Sistema-Paese fino a quando dilagano comportamenti che alterano le regole del mercato e sottraggono spazi vitali alle imprese private.
 
Sappiamo che non si può fare a meno dello Stato e che lo Stato da solo non basta.
 
Ma stentiamo davvero a capire perchè lo Stato debba entrare nelle gare pubbliche per l'Ict sconvolgendo i criteri e i parametri di una corretta competizione, soltanto per difendere interessi politici.

 
 

Ben vengano quindi gli indirizzi formulati recentemente dal ministro della Funzione Pubblica per mettere chiarezza in questo ambito, nonché le misure previste nel disegno di legge del Governo sul riordino dei servizi pubblici locali, e nella legge Bersani, che detta norme in tema di appalti pubblici regionali e locali a tutela della concorrenza, affinchè si metta fine una volta per tutte a procedure selvagge che hanno stravolto le regole.

 
 

Essere competitivi vuol dire essere un Paese moderno, europeo, aperto alla concorrenza e all'internazionalizzazione.
 
Essere competitivi vuol dire valorizzare le nostre potenzialità e partecipare attivamente ai processi decisionali che si svolgono a Bruxelles e riguardano i dossier più importanti per il nostro settore (tra questi l'evoluzione del pacchetto Telecom e la revisione della direttiva Tv senza frontiere).
 
La forza e la massa critica delle imprese che operano nell'Ict e più in generale nell'economia dei servizi innovativi è tale da poter sfidare i mercati, ma per farlo abbiamo bisogno di creare con le forze politiche e sociali quella "convergenza per lo sviluppo" che si esprime oggi nella sede dello SMAU